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I palmenti: chi li hai visti?

I palmenti: chi li hai visti?

Autore: Gusto landia/giovedì 29 agosto 2013/Categorie: Territori

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Parte il censimento dei palmenti in Italia, cioè di quelle vasche scavate nella roccia utilizzate fin da epoche remote per la pigiatura dell’uva e la fermentazione dei mosti. Questi impianti legati alla produzione del vino hanno forte valenza storica, antropologica ed economica perché raccontano la storia della civiltà contadina e pastorale, illustrano il lavoro e le tecniche di trasformazione dell’uva dall’età protostorica sino ai nostri giorni e contribuiscono alla riscoperta di vitigni di antica origine.  

Il nome deriva dal latino palmes palmitis, tralcio di vite, o da paumentum, l’atto di battere, pigiare. La definizione è poi nei secoli passata a significare le macine del mulino che schiacciavano le olive per produrre l’olio o frantumare il grano per ricavarne farina. Il termine palmentum si trova in numerosi documenti medievali del IX e X sec., accanto a quello di trapetum, suo omologo per l’estrazione dell’olio.

Il palmento tipo era costituito da due vasche di forma rettangolare o circolare, scavate nell'arenaria, una superiore ed una inferiore, comunicanti attraverso un foro. Ma ne esistono di vari tipi, scavati nel banco tufaceo o in blocchi di roccia, in molti casi vulcanica: alcuni a vasca singola, altri a doppia vasca comunicante, altri ancora (ma sono più rari) a tre vasche.  In assenza di roccia friabile, il palmento veniva costruito in muratura, impermeabilizzando le vasche con uno stato di intonaco di circa 3 cm, costituito da sabbia e calce mista a coccio pestato come collante.

Ad oggi se ne conoscono diversi in molte aree del Mediterraneo (Armenia, Bulgaria, Cipro, Corsica, Francia, Malta, Spagna, Israele, Mauritania) e in Italia (in Liguria, Marche, Toscana, Lazio, Campania, Basilicata, Calabria, Sicilia , Sardegna). Nel nostro Paese ce ne sono però ancora moltissimi  meritevoli di essere riportati alla luce, studiati e valorizzati, ma che oggi versano in uno stato di forte degrado occultati dalla macchia mediterranea, utilizzati come abbeveratoi per gli animali o come letamaie, se non addirittura distrutti per rendere più agevoli le operazioni di aratura e di impianto di colture.

L’Associazione Nazionale Città del Vino intende allora promuovere una serie di attività di censimento e di recupero in senso ambientale e produttivo di tali manufatti, a partire da una prima mappatura fino alla progettazione di iniziative di carattere culturale, educativo ed enogastronomico in cui i palmenti e il contesto paesaggistico diventino volano di richiamo turistico e di rilancio economico.

A tal fine Città del Vino ha anche avviato una collaborazione con l’Università degli Studi di Roma, Facoltà di Lettere e Filosofia, Dipartimento di Scienze Archeologiche e Storiche del Mondo Classico e Orientale, finalizzata allo studio ed alla valorizzazione degli antichi impianti di produzione del vino in alcune aree dell’Italia Centro-meridionale.

L’obiettivo è quello di coinvolgere in maniera allargata le istituzioni, le amministrazioni locali, le associazioni e i cittadini chiedendo a tutti di partecipare all’indagine sulla riscoperta dei palmenti italiani.

Segnalaci, anche con immagini, la presenza - ed eventualmente l’accessibilità e lo stato di conservazione - di evidenze storiche riconducibili alle caratteristiche peculiari della maggior parte dei palmenti (vedi il documento in allegato) e la presenza di associazioni archeologiche attive nel tuo territorio.

I risultati di questa indagine avranno massima visibilità sul nostro portale TerredelVino.net e  costituiranno materia di approfondimento per pubblicazioni, seminari e incontri (tra i quali un Simposio Internazionale sui Palmenti) che l’Associazione intende organizzare nel prossimo anno.

Per invio di segnalazioni, chiarimenti e proposte scrivi a calzecchionesti@cittadelvino.com

 

fonte terredelvino

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